domenica 7 ottobre 2007


Istanbul, antica Costantinopoli, città doppia, da una parte l'Europa, dall'altra l'Asia. Città che vive la sua dualità non solo territorialmente ma anche culturalmente.. musulmani convinti del loro credo e 'profani' che con fermezza affermano la propria laicità. Ma istanbul non è solo doppia,è tripla,quartupla e quintupla ( se così si può dire)
Istanbul è un miscuglio.
Miscuglio di genti diverse, di idee diverse,di povertà e ricchezza estrema, miscuglio di pescatori, gente d'affari, di venditori ambulanti, di uomini adulanti, di donne dal velo coperto, di ragazze con vestiti inesistenti, di travestiti e pervertiti, di gente ospitale e frettolosa..
vivendo due mesi in questa città si ha la sensazione che la gente debba ancora trovare la sua identità, che più d'ottant'anni di laica repubblica non sia riuscita del tutto ad abbattere retaggi culturali lasciati da secoli di dominio ottomano..è una città strana, multiforme e molteplice che però trova la sua unità nella sua bellezza, in quella gola d'acqua che collega il quieto mar di marmara e il mar nero, nel bosforo, che con il suo vento sembra cancellare ogni molteplicità, restituendo alla vecchia costantinopoli la sua valenza storica e coprendola di un velo di fascino misterioso..

mercoledì 5 settembre 2007


una foto a volte basta per rendersi conto della complessità del luogo in cui passano lente e afose le tue giornate. beh...Voilà! le bambine che ho incontrato mentre perlustravo curiosa i vicoli stretti e sporchi della casbah. tutte figlie di questo popolo meticcio.

lunedì 3 settembre 2007


È lungo il viaggio. È bello guardare il paesaggio che corre aldilà del vetro sporco del finestrino. C’è solo il rumore del treno che viaggia, delle rotaie sui binari, in questo vagone che procede a sud, nel caldo e nel sole della mattina in piena. Dopo Casablanca ci sono meno fermate in piccoli villaggi, il treno sosta nei paesi di raccordo tra i vari villaggi sparsi nelle zone circostanti, le persone scendono e salgono, quasi tutti hanno il loro posto a sedere ed il treno ha trovato un suo equilibrio nel viavai sempre meno animato dei passeggeri. La luce ha già assunto un’altra intensità più si procede verso sud; la sabbia, i campi gli alberi gli arbusti le case la terra, diventano più aridi e polverosi, il marrone, il rosa, il giallo paglierino. Luce e paesaggio si riflettono a vicenda complementari. Idea di unità e di dominio del clima, della natura, sulle persone.

Mi è sembrato di passare attraverso due mondi diversi, separati, come passare attraverso una porta socchiusa, attratta dalla luce e dal profondo silenzio, e trovarmi poi in un luogo che stava lì ad aspettare, per spiegarsi davanti a me in una profonda immagine, lunghissima, infinito piano sequenza. Veramente il paesaggio è qualcosa di eccezionale, penso che il Marocco offra tantissime di queste sorprese, la sua natura è capace di stupirti girando l’angolo. Il viaggio prosegue attraverso terreni aridi, pietrosi, polverosi, colline rossicce di rena uniforme, i colori sfumano nelle lunghe distanze, impercettibilmente per me che credo di essere daltonica. Il cielo possente cade dall’alto con tutta la sua intensità senza macchia di nuvola, sembra sospeso nel calore della luce.

E così si susseguono colline a vallate di terra nuda, talvolta solcate da un sentiero sterrato per le macchine che si scassano a percorrerlo, un casottino sorto nel bel mezzo di questo nulla, poi un deserto abitato da fiori bianchi e neri di sacchetti di plastica, centinaia di migliaia di buste di plastica abbandonate, aggrovigliate all’erba secca, ai sassi, volate strappate bruciate scolorite; ma che ci fa tutta questa plastica in mezzo a questo niente?! Puntini bianchi e neri nei miei occhi, evocano l’avvicinamento alla umana civiltà! Tra poco lunghi alberi spelacchiati che mi sembran pini e altri alberelli abbarbicati tra una roccia e l’altra ci ricorderanno che la meta è la città, e non è neanche troppo lontana.

Fa caldo nel treno, il sole ha riscaldato gli ambienti, e si avvicina il mezzogiorno. Nel mio scompartimento è arrivata una donna con un bambino. Non sembrerebbe la madre, forse più una zia od una nonna, sembra anziana e il bambino è piccolo, due tre anni. Che carino si è addormentato di fianco a me. La donna lo ha lasciato sul sedile e si è seduta di fronte, ha allungato le gambe davanti e con-tiene il bambino tra i suoi piedi; mi lancia qualche occhiata neanche troppo discreta, curiosa, mentre io ammiro il bambino e sorrido. Una mosca continua a girargli attorno agli occhi chiusi, alla bocca aperta. Anche la donna ha i suoi bagagli intrappolati nelle buste di plastica. Gli offro una banana, col caldo che fa, lei ne dà metà al bambino e nasconde la buccia sotto il sedile.

La stazione di Marrakesh è piccola, ci sono dei lavori in corso per il suo ampliamento e ammodernamento, il cantiere è avvolto nascosto in enormi cartelloni pubblicitari autocelebrativi sulle grandi opere di ricostruzione in corso. Ho saputo che sono in atto sei grandi progetti architettonici distribuiti in diverse città e regioni del Marocco; si tratta, a quanto ho capito, di “grandi opere” spesso finanziate dai paesi del Golfo i quali hanno interesse ad investire nelle capacità economiche di un paese così amato dagli stessi arabi per le sue attrattive turistiche (e non solo). Sono ambiziosi progetti spacciati per interventi governativi volti ad uno sviluppo economico e logistico del paese, ma che in realtà sono in mano alle imprese private dei magnati del Golfo. Tuttavia tutti i marocchini sembrano contenti di queste fantomatiche sei grandi opere, che sembrano procedere in fretta, e che a loro dire porteranno un sacco di lavoro ai cittadini. Certo, questo è un bene. La disoccupazione, soprattutto giovanile, è una piaga tremenda in Marocco, moltissimi giovani marocchini campano alla giornata con lavoretti saltuari e mal pagati, barcamenandosi tra uno zio commerciante ed un vicino manovale. Ma anche la consistente fetta di persone qualificate, che possiedono titoli di studio, lauree, specializzazioni, fa fatica a trovare un lavoro, un posticino degno del titolo guadagnato in anni di studio investiti all’università. Posso dire che un giorno sì ed un giorno no a Rabat, davanti all’edificio del parlamento in via Mohammed V, proprio di fronte allo chicchissimo hotel Balima, si riuniscono gruppi sempre ben consistenti di giovani laureati, diplomati, qualificati, DISOCCUPATI, a manifestare la loro protesta, l’impossibilità di avere un lavoro statale, un posto pubblico, di poter lavorare regolarmente secondo la legge e i loro diritti, lamentando un sistema che funziona su cariche e posti di lavoro assegnati grazie a raccomandazioni, conoscenze, bustarelle. Tutto il mondo è paese. Ed il Marocco è un paese abbastanza grande, densamente popolato nelle città soprattutto da giovani, promettenti per il futuro di una nazione in evoluzione, in marcia, in cambiamento, influenzabili, aperti, e tutto ciò credo sia una grande forza, probabilmente esposta anche ad un grande rischio. Come per molti paesi in via di sviluppo. Beh, proprio il mio secondo giorno a Rabat ho avuto la fortuna di incappare in una di queste manifestazioni di shabab al mu’attalin, e di scambiare due parole con una ragazza lì in mezzo. Presenze maschili e femminili si equiparavano tra la folla. Slogan e striscioni si sollevavano di fronte al rosso edificio del Parlamento, protetto da una riga scomposta di solo una decina di soldati, giovani, in guardia. Cori e canzoni sotto il sole tenue del pomeriggio, sotto gli occhi spettatori un po’ annoiati un po’ curiosi un po’ beffeggiatori dei clienti del bar del Balima, seduti all’ombra dei frondosi alberi della terrazza a sorseggiare cafè casè. Le chiacchere oziose del bar, gli slogan intonati dei manifestanti, gli occhi vigili dei soldati, il silenzio di un edificio che pare vuoto, abitato dai fantasmi.

Così alcuni, come la mia amica Mariam dell’università, davanti all’enorme cantiere sul fiume Bu Raqraq tra Salè e Rabat, si chiedono quanto valga al paese offrire un lavoro magari sì fisso, come muratore, cameriere, giardiniere, controllore della metropolitana a quanti, 1000, 2000 marocchini qualificati -magari ma anche no-, assunti pur sempre da compagnie straniere, da imprenditori stranieri per aziende straniere, profitti esteri, interessi non pubblici ma privati. Insomma, una manodopera non qualificata sacrificata al turismo e agli interessi di chi possiede gli alberghi, i ristoranti i centri commerciali già prima che sorgano sul nuovo suolo super moderno e super tecnologico, e che non permetterà al paese, quello vero, di godere della ricchezza portata da tali opere. Non sarebbe meglio investire nei settori pubblici? E nell’istruzione, nella formazione di personale qualificato e di attività, produzioni nazionali che non siano solo il turismo e il cinema? Insomma, in qualcosa che ci permetta di dimostrare quello che valiamo e che possiamo rendere per il nostro paese, nei termini delle nostre qualifiche, conoscenze, abilità?! Perché devo emigrare, se voglio lavorare per lo sviluppo del mio paese? Io voglio restare qui, a lavorare, e a vivere.

Anche Mariam pensa al suo futuro dopo l’università, pensa al suo paese. Pensa a tante cose mentre guarda l’oceano davanti a sé, mentre la luce che si riflette sull’acqua le inonda gli occhi scuri, e sorride.

Certo la stazione d Marrakesh ha bisogno di una ristrutturatina, per accogliere le marmaglie di turisti che arrivano ogni giorno.

martedì 7 agosto 2007

primo viaggio. marocco marzo 2007


Sono solo tre giorni che mi trovo a Rabat, dal mio arrivo in marocco, che già vengo dirottata a marrakesh, a sud. All’agence marocaine de cooperation internationalle mi dicono che era previsto che la mia borsa di studio si svolgesse a marrakesh, e non a rabat, come invece mi avevano detto all’ambasciata marocchina a roma. Ma non si preoccupi signorina, se preferisce restare a rabat non c’è problema, possiamo facilmente cambiare le carte e registrare il cambio di assegnazione iscrivendola qui, all’università della capitale. Il n’y a pas de problem. Perché, non le piace marrakesh? L’ha visitata? È una città bellissima, c’è tutto, turismo, divertimento, la piazza djama al-fna è tra le più belle del marocco. È famosa marrakesh lo sa?
Certo che lo so, ma mi ero quasi abituata a Rabat, al suo vento d’oceano.
Le consiglio di farsi un giro a marrakesh, vada lì a vedere l’università se le piace, ne potrà approfittare per visitare la città e godere delle sue bellezze. A quel punto potrà scegliere se rimanere qui o trasferirsi a marrakesh. Il n’y a pas de problem.
Va bene, andrò. Arrivederci.

Il treno arriva puntuale da Tangeri, estrema punta nord della linea ferroviaria marocchina, e parte puntuale dal binario due, diretto a marrakesh, ultima stazione a sud, dopo la quale i binari sono interrotti e gli spostamenti avvengono tramite altri mezzi di trasporto. Mi piacciono i treni marocchini. Sono puntuali e sembrano puliti. I sedili sono in pelle, lucida e rossa arancione nelle carrozze a scompartimenti separati, azzurrina o gialla nei vagoni comuni, dove i sedili sono sistemati uno di fronte all’altro a gruppi di due. Il viaggio inizia, pochi passeggeri ancora, ma presto il treno si riempie, alla stazione di rabat agdal prima, dove uomini in giacca e cravatta salgono e silenziosi e composti si siedono dopo aver sistemato valigetta e cartelline sui porta bagagli sopra le loro teste, una volta sistemati sfilano da sotto il braccio un qualche quotidiano che iniziano a sfogliare, comodi nei loro larghi sedili e nella propria eleganza. Alla stazione di Casa Voyageurs, o dar al-baida al musafirin, poi, il treno si riempie di nuovo, e i corpi si muovono da un vagone all’altro fino alla stazione principale di Casablanca, dove una seconda ondata di persone affluisce sul treno e si mescola ai meno recenti nuovi passeggeri, tutti insieme alla ricerca di un posto. Solo dopo una decina di minuti buoni, vari spostamenti, voci, richiami, e separazioni familiari, tutti hanno trovato un posto dove sedersi, e solo uno o due ragazzi si scorgono in fondo al vagone, rimasti in piedi vicino ai bagni, nella zona di passaggio da una carrozza all’altra. Solo ora il treno sembra pronto per il viaggio. I viaggiatori saliti a Casablanca, sono tutti diversi, più particolari. Ancora uomini in completo, giovani ragazze in tailleur, vestitini, giovani vestiti alla moda, capelli neri bagnati e ingelatinati, donne velate in gellaba azzurre, accompagnate da bambini/e, bagagli pesanti e ingombranti, giovani uomini con pochi baffi e pochi denti, magri, alti, occhi neri fulminanti, operai giovani e vecchi con poco bagaglio, anziane dal volto scuro e corrugato, piccoli occhi azzurrini luminosi tra il velo morbido e di colore tenue e la gellaba ampia, decorata, accompagnate da mariti alti nonostante il peso delle vecchie ossa, o da figlie sorelle nipoti, intere generazioni di femmine. Dopo il trambusto iniziale della caccia al posto libero, quando tutti son sistemati, un silenzio di qualche minuto accompagna gli sguardi di ricognizione dell’ambiente, graduale familiarizzazione con il luogo, i propri vicini, e acquisizione di coscienza della propria presenza, qui, intera, sana e salva. Ognuno è entrato in possesso della propria presenza, ora si può riprendere la conversazione da dove la si era lasciata, oppure iniziarne una nuova.
Nel mio scompartimento è arrivata una famiglia, un uomo anziano con sua moglie, e quelli che in un primo momento mi sembrano i due giovani figli. Tutti i loro movimenti iniziali sono mirati a far sedere comodamente la vecchia madre, minuta, muta nella sua gellaba nera decorata con i fili azzurri e arancioni, vecchia gellaba consumata indossata da anni, zitta zitta si lascia guidare dal figlio, il quale la siede vicino al finestrino, poco lontana da me. Lo spazio tra noi lo occupa il padre, anch’egli minuto, curvo, in una larga gellaba arancione di stoffa grezza, pesante, piccola testa scura coperta da un cappellino marrone spelacchiato, si siede appoggia il bastone tra le gambe fermandolo tra i piedi intrappolati nei sandali di cuoio scuro. I figli sistemano i pesanti bagagli sui ripiani, borse di stoffa legate assieme da corde e enormi buste di plastica con le cerniere scucite. Poi tutti sudati si voltano, si siedono di fronte ai genitori, si sistemano, sospirano, e si accorgono di me e degli altri passeggeri dello scompartimento. Occhiata di presentazione. Buongiorno. Eccoci.

domenica 5 agosto 2007

Letture algerine...

E poi oltre tutta la poesia che puoi scoprire, oltre lo sguardo affascinato del viaggiatore, ti accorgi che ci sono cose che ancora non vanno. Non mi hanno fatto subito impressione i numerosi barrages piazzati in mezzo alle strade poco prima del tramonto. Mentre ti avvicini ai posti di blocco rallenti, speengi i fari, accendi la lucetta all'interno della macchina e aspetti un segno da parte del poliziotto per proseguire. Per rientrare da Tipaza abbiamo impiegato quattro ore...normalmente ce ne vuole una...certo era venerdi' e le strade erano piene di gente che rientrava dalla spiaggia...ma il grosso della coda si creva a causa dei (o meglio grazie ai...) posti di blocco. Mi faceva "sorridere" incontrare per strada uomini con la barba tinta di henné e con gli occhi ornati dal kohol...Poi pian piano abbandoni l'incanto di chi osserva un mondo nuovo, con occhi purtroppo ancora sporchi di "orientalismo"...magari cominci a fare domande e a leggere storie che raccontano di un periodo buio, folle, brutale. Provi a immaginare il coprifuoco o il panico che ti deve cogliere nel momento in cui ti accorgi di esserti fermato a un finto barrage. Chiudi gli occhi di fronte all'immagine di un intero villaggio massaccrato. Dieci anni di guerra civile, dieci anni in cui è stato toccato il fondo, dieci anni in cui la situazione è completamente degenerata...
Finito il libro da due giorni cerco di riordinare i pensieri. Una lettura che forse vale più di tanti resoconti storici, comunque un libro ben scritto, stile ferrato che non ti lascia alzare gli occhi dalla pagina. "A quoi revent les loups" di Yasmina Khadra...sicuramente tradotto anche in italiano.

lunedì 30 luglio 2007


"Accetto il mio nomadismo. I confini li perdo e li ritrovo, anzi distruggo i confini; sono distruttore di confini....Accetto il mio nomadismo rinunciando al "genius loci". Abitare è un'erranza, un cammino e non un viaggio turistico. Nelle strade dei mondi io non porto che un sacco vuoto che riempio durante il viaggio...In tibetano essere umano vuol dire viandante....."
Gezim Hajdari

mercoledì 25 luglio 2007

E' come avere le farfalle nella pancia....






Su gentile concessione di Angela, una delle mie compagne di avventura, pubblico qualche foto sparsa per lasciarvi intravedere la città...dopo tre mesi ancora non trovo le parole per descrivere Algeri. Riesco solo a ripetere che é bellissima. E' come qualcosa che ti prende allo stomaco, é come quando ti prendi una cotta....dovreste vedere il cielo
quando il sole splende.....Io mi sono
innamorata
e la sola idea di dover tornare in Italia mi spezza il cuore. Algeri la Bianca....un groviglio incredibile di stili architettonici.... la Casbah ripiegata su se stessa fatica per riuscire a vedere il nuovo giorno, un miracolo che si regga ancora in piedi....solo la collina la sorregge....
E tutte quelle scale che tagliano in lungo la città, scorciatoie e bivacchi nei momenti più caldi della giornata....Ti vien voglia di "fare l'hittista", di appoggiarti a un muro e guardare cio' che ti circonda...

domenica 8 luglio 2007

Bravo Yusuf!!

Finalmente ce l'ho fatta.....dopo circa due ore e svariati errori (vi chiederete perché appaio due volte tra i collaboratori....no, non é mania di protagonismo....é che non lo so nemmeno io cosa ho fatto....) sono riuscita a capire come scrivere un post sul nostro neonato blog!!!
Qualche riga giusto per inaugurare questo progetto-laboratorio-esperimento in cui siamo finiti un po' per caso un po' per necessità...

martedì 3 luglio 2007

s'intravede la meta


ehehehehe sono felice come questo bambino, vaffanculo lingua europea!!!!
si diramano le nubi...
daje yusuf!!!!
(lo so che non c'entra nulla ma G.O.D.O.)

mercoledì 27 giugno 2007

w mumken blog

ehm... che dire... è emozionante qsto blog, per me, quasi surreale. non faccio in tempo a scivolare(quasi letteralmente!) per le scale dell'alloggio di Viola che tornata a casa mi ritrovo fra le mail la proposta di partecipare a mumken blog?!? ( tradotto in romano: che dite ja famo a fa sto blog?).beh sto ancora ridendo, il nome è geniale! e giustamente un po' sarcastico(per chi nn
lo sapesse stiamo faticosam cercando, in qsta torrida estate, minacciata dal global warming, di combinare qlcs con il minimo dispendio di energie, perciò niente mostre dal titolo mumken sura? un po faticose da preparare con lo scotch, le misure, i ritagli, i riquadri, i coltelli, i pilastri, i pilastrini, etc. etc. ebbene no, va fatto in inverno dico io, magari sotto natale, quando si è abituati ad attaccare addirittura le palle all'alberello! che poi dove c***o stavano sti abeti in Palestina qnd è nato Gesù nn si sa, attacchiamole alle palme allora ste benedette palle! anzi agli ulivi, molto meglio... cmq dicevo: abbiamo tentato di tirare su una mostra con le foto scattate durante i nostri diversi soggiorni in siria ma la cosa per diversi motivi nn è nata e così per rifarci abbiamo pensato ad un bel mumken blog, che nn è un blog normale, no, no, è un frullato o meglio sarà un bel frullato di quelli siriani( moz wa halib!), uno spazio dove sfogare tutto il nostro pessottimismo! una sorta di periplo virtuale! spero di aver citato quasi tutti, ma forse manca laura i cui nomi per la nostra associaz (mai nata pure quella, anzi gemella siamese della mostra!)sono irripetibili!ahahah! e allora concludo, interpretando credo il pensiero di chiunque si sia letto qsta delirante e incoerente esposizione,dicendo: "e sti cazzi nun ce li metti?!"

quadro marrakshi

martedì 26 giugno 2007

bosforo

prova scrittura..e per chi non lo sapesse..il Bosforo mi attende

lunedì 25 giugno 2007

ALEPPO


Damasco viene chiamata al-faiha “la profumosa” per gli odori che
Sprigionano le spezie nel suq, Aleppo meno poeticamente viene chiamata
Al-shahba “la grigia” per il colore della pietra locale con cui è costruita la “città vecchia”
La metropoli araba più a nord, una delle città in assoluto di più antica fondazione,
una città stupenda che ammalia il cuore del visitatore..

se a Damasco, con la sua aria di eterna capitale incurante del tempo conscia della propria imponenza storica, si respira qualcosa che ricorda Roma o Atene, il meraviglioso disordine strutturale di Aleppo fa pensare a una bellissima Napoli mediorientale.

a Bab el Faraj, centro nevralgico della parte moderna della città, il traffico delirante di tassì isterici che sfrecciano sfruttando in ogni buco che si crea nella muraglia di macchine superando pulmini stracarichi di persone, camioncini zeppi di cocomeri, carretti trasportati da paciosi asinelli impassibili, è dinamicamente uguale al traffico umano di Bab Antakia, porta della città vecchia da dove comincia il famoso suq nel quale procaci donne cristiane, beduine dal volto tatuato con vesti colorate e turiste tedesche scollate ornate di telecamere digitali sgomitano per ammirare gli stessi banchetti strabordanti di tappeti e teli ricamati. Intestini di pecora gonfiati di aria simili a cruenti palloncini bianchi incorniciano i banchi dei macellai carichi di odori nauseanti che si mischiamo con gli effluvi aggressivi delle spezie mentre sequenze della stessa faccia baffuta rassicurano il passante sulla solidità del regime. Minareti e campanili si lanciano occhiate rispettose nel cielo grigio di fumo nero mentre al centro, svettando sopra tutti, l'eterna cittadella, come una madre paziente, guarda sua figlia crescere a dismisura rimanendo sempre assolutamente bella.

AKHIRAAN


si parte!!

FINALMENTE!!