mercoledì 5 settembre 2007


una foto a volte basta per rendersi conto della complessità del luogo in cui passano lente e afose le tue giornate. beh...Voilà! le bambine che ho incontrato mentre perlustravo curiosa i vicoli stretti e sporchi della casbah. tutte figlie di questo popolo meticcio.

lunedì 3 settembre 2007


È lungo il viaggio. È bello guardare il paesaggio che corre aldilà del vetro sporco del finestrino. C’è solo il rumore del treno che viaggia, delle rotaie sui binari, in questo vagone che procede a sud, nel caldo e nel sole della mattina in piena. Dopo Casablanca ci sono meno fermate in piccoli villaggi, il treno sosta nei paesi di raccordo tra i vari villaggi sparsi nelle zone circostanti, le persone scendono e salgono, quasi tutti hanno il loro posto a sedere ed il treno ha trovato un suo equilibrio nel viavai sempre meno animato dei passeggeri. La luce ha già assunto un’altra intensità più si procede verso sud; la sabbia, i campi gli alberi gli arbusti le case la terra, diventano più aridi e polverosi, il marrone, il rosa, il giallo paglierino. Luce e paesaggio si riflettono a vicenda complementari. Idea di unità e di dominio del clima, della natura, sulle persone.

Mi è sembrato di passare attraverso due mondi diversi, separati, come passare attraverso una porta socchiusa, attratta dalla luce e dal profondo silenzio, e trovarmi poi in un luogo che stava lì ad aspettare, per spiegarsi davanti a me in una profonda immagine, lunghissima, infinito piano sequenza. Veramente il paesaggio è qualcosa di eccezionale, penso che il Marocco offra tantissime di queste sorprese, la sua natura è capace di stupirti girando l’angolo. Il viaggio prosegue attraverso terreni aridi, pietrosi, polverosi, colline rossicce di rena uniforme, i colori sfumano nelle lunghe distanze, impercettibilmente per me che credo di essere daltonica. Il cielo possente cade dall’alto con tutta la sua intensità senza macchia di nuvola, sembra sospeso nel calore della luce.

E così si susseguono colline a vallate di terra nuda, talvolta solcate da un sentiero sterrato per le macchine che si scassano a percorrerlo, un casottino sorto nel bel mezzo di questo nulla, poi un deserto abitato da fiori bianchi e neri di sacchetti di plastica, centinaia di migliaia di buste di plastica abbandonate, aggrovigliate all’erba secca, ai sassi, volate strappate bruciate scolorite; ma che ci fa tutta questa plastica in mezzo a questo niente?! Puntini bianchi e neri nei miei occhi, evocano l’avvicinamento alla umana civiltà! Tra poco lunghi alberi spelacchiati che mi sembran pini e altri alberelli abbarbicati tra una roccia e l’altra ci ricorderanno che la meta è la città, e non è neanche troppo lontana.

Fa caldo nel treno, il sole ha riscaldato gli ambienti, e si avvicina il mezzogiorno. Nel mio scompartimento è arrivata una donna con un bambino. Non sembrerebbe la madre, forse più una zia od una nonna, sembra anziana e il bambino è piccolo, due tre anni. Che carino si è addormentato di fianco a me. La donna lo ha lasciato sul sedile e si è seduta di fronte, ha allungato le gambe davanti e con-tiene il bambino tra i suoi piedi; mi lancia qualche occhiata neanche troppo discreta, curiosa, mentre io ammiro il bambino e sorrido. Una mosca continua a girargli attorno agli occhi chiusi, alla bocca aperta. Anche la donna ha i suoi bagagli intrappolati nelle buste di plastica. Gli offro una banana, col caldo che fa, lei ne dà metà al bambino e nasconde la buccia sotto il sedile.

La stazione di Marrakesh è piccola, ci sono dei lavori in corso per il suo ampliamento e ammodernamento, il cantiere è avvolto nascosto in enormi cartelloni pubblicitari autocelebrativi sulle grandi opere di ricostruzione in corso. Ho saputo che sono in atto sei grandi progetti architettonici distribuiti in diverse città e regioni del Marocco; si tratta, a quanto ho capito, di “grandi opere” spesso finanziate dai paesi del Golfo i quali hanno interesse ad investire nelle capacità economiche di un paese così amato dagli stessi arabi per le sue attrattive turistiche (e non solo). Sono ambiziosi progetti spacciati per interventi governativi volti ad uno sviluppo economico e logistico del paese, ma che in realtà sono in mano alle imprese private dei magnati del Golfo. Tuttavia tutti i marocchini sembrano contenti di queste fantomatiche sei grandi opere, che sembrano procedere in fretta, e che a loro dire porteranno un sacco di lavoro ai cittadini. Certo, questo è un bene. La disoccupazione, soprattutto giovanile, è una piaga tremenda in Marocco, moltissimi giovani marocchini campano alla giornata con lavoretti saltuari e mal pagati, barcamenandosi tra uno zio commerciante ed un vicino manovale. Ma anche la consistente fetta di persone qualificate, che possiedono titoli di studio, lauree, specializzazioni, fa fatica a trovare un lavoro, un posticino degno del titolo guadagnato in anni di studio investiti all’università. Posso dire che un giorno sì ed un giorno no a Rabat, davanti all’edificio del parlamento in via Mohammed V, proprio di fronte allo chicchissimo hotel Balima, si riuniscono gruppi sempre ben consistenti di giovani laureati, diplomati, qualificati, DISOCCUPATI, a manifestare la loro protesta, l’impossibilità di avere un lavoro statale, un posto pubblico, di poter lavorare regolarmente secondo la legge e i loro diritti, lamentando un sistema che funziona su cariche e posti di lavoro assegnati grazie a raccomandazioni, conoscenze, bustarelle. Tutto il mondo è paese. Ed il Marocco è un paese abbastanza grande, densamente popolato nelle città soprattutto da giovani, promettenti per il futuro di una nazione in evoluzione, in marcia, in cambiamento, influenzabili, aperti, e tutto ciò credo sia una grande forza, probabilmente esposta anche ad un grande rischio. Come per molti paesi in via di sviluppo. Beh, proprio il mio secondo giorno a Rabat ho avuto la fortuna di incappare in una di queste manifestazioni di shabab al mu’attalin, e di scambiare due parole con una ragazza lì in mezzo. Presenze maschili e femminili si equiparavano tra la folla. Slogan e striscioni si sollevavano di fronte al rosso edificio del Parlamento, protetto da una riga scomposta di solo una decina di soldati, giovani, in guardia. Cori e canzoni sotto il sole tenue del pomeriggio, sotto gli occhi spettatori un po’ annoiati un po’ curiosi un po’ beffeggiatori dei clienti del bar del Balima, seduti all’ombra dei frondosi alberi della terrazza a sorseggiare cafè casè. Le chiacchere oziose del bar, gli slogan intonati dei manifestanti, gli occhi vigili dei soldati, il silenzio di un edificio che pare vuoto, abitato dai fantasmi.

Così alcuni, come la mia amica Mariam dell’università, davanti all’enorme cantiere sul fiume Bu Raqraq tra Salè e Rabat, si chiedono quanto valga al paese offrire un lavoro magari sì fisso, come muratore, cameriere, giardiniere, controllore della metropolitana a quanti, 1000, 2000 marocchini qualificati -magari ma anche no-, assunti pur sempre da compagnie straniere, da imprenditori stranieri per aziende straniere, profitti esteri, interessi non pubblici ma privati. Insomma, una manodopera non qualificata sacrificata al turismo e agli interessi di chi possiede gli alberghi, i ristoranti i centri commerciali già prima che sorgano sul nuovo suolo super moderno e super tecnologico, e che non permetterà al paese, quello vero, di godere della ricchezza portata da tali opere. Non sarebbe meglio investire nei settori pubblici? E nell’istruzione, nella formazione di personale qualificato e di attività, produzioni nazionali che non siano solo il turismo e il cinema? Insomma, in qualcosa che ci permetta di dimostrare quello che valiamo e che possiamo rendere per il nostro paese, nei termini delle nostre qualifiche, conoscenze, abilità?! Perché devo emigrare, se voglio lavorare per lo sviluppo del mio paese? Io voglio restare qui, a lavorare, e a vivere.

Anche Mariam pensa al suo futuro dopo l’università, pensa al suo paese. Pensa a tante cose mentre guarda l’oceano davanti a sé, mentre la luce che si riflette sull’acqua le inonda gli occhi scuri, e sorride.

Certo la stazione d Marrakesh ha bisogno di una ristrutturatina, per accogliere le marmaglie di turisti che arrivano ogni giorno.